Augusto Cocchioni

La Partecipazione dei Lavoratori alla Gestione delle Imprese per le Sfide del Dopo Pandemia

EuCETexcerpt: L’idea partecipativa, ovvero quella che prevede il coinvolgimento attivo dei lavoratori nella gestione delle imprese, è piuttosto antica. Con varie sfaccettature, che vanno dall’informazione e consultazione istituzionalizzata fino alla vera e propria cogestione, ovvero la presenza attiva dei lavoratori, mediante i propri rappresentanti negli organi societari d’impresa, condividendo i processi decisionali, le decisioni strategiche e prendendo parte ai risultati economici ed alla redistribuzione degli utili delle aziende.

 

La Partecipazione dei Lavoratori alla Gestione delle Imprese

per le Sfide del Dopo Pandemia

Augusto Cocchioni

Indice

  1. Riepilogo operativo
  2. Introduzione
  3. La cultura partecipativa per mitigare gli effetti negativi del sistema
  4. Le principali definizioni di partecipazione
  5. Le origini e l’evoluzione del sistema partecipativo
  6. La partecipazione nell’ordinamento europeo
  7. L’attuale situazione in Italia
  8. La partecipazione nelle piccole imprese
  9. La cultura partecipativa come risorsa da divulgare
  10. Conclusioni
  11. Fonti bibliografiche

Postfazione

Prefazione

Partecipazione, un’idea antica eppure attualissima in tempi di crisi

di Francesco Paolo Capone

Segretario Generale Ugl

L’idea partecipativa, ovvero quella che prevede il coinvolgimento attivo dei lavoratori nella gestione delle imprese, è piuttosto antica. Con varie sfaccettature, che vanno dall’informazione e consultazione istituzionalizzata fino alla vera e propria cogestione, ovvero la presenza attiva dei lavoratori, mediante i propri rappresentanti negli organi societari d’impresa, condividendo i processi decisionali, le decisioni strategiche e prendendo parte ai risultati economici ed alla redistribuzione degli utili delle aziende.

In questo modo viene trasformata la figura del lavoratore: non più mero esecutore delle direttive prese dai propri dirigenti ed estraneo rispetto alla conduzione ed alle sorti dell’azienda, ma soggetto pienamente coinvolto nel processo produttivo. Quindi da un lato più protetto rispetto alle scelte aziendali, dall’altro maggiormente responsabilizzato, consapevole dell’importanza delle esigenze di competitività necessarie alla sopravvivenza ed alla crescita impresa di cui fa parte.

Questa idea è stata in vario modo attuata già da anni e decenni, soprattutto nell’Europa centrale, in Germania, ma anche nei Paesi Bassi e nella Repubblica Ceca, ad esempio. Anche l’Unione europea ha fattivamente dimostrato un’interesse verso la partecipazione, attraverso l’ideazione della Società europea e dei Comitati Aziendali Europei. Eppure in diversi Stati membri della Ue questo modello ha incontrato molte resistenze, non solo da parte imprenditoriale, ma anche sindacale, poiché presuppone un mutamento del rapporto di lavoro rendendo il dipendente, di fatto, un socio dell’azienda, quindi cambiando lo schema consueto delle relazioni industriali fra imprese e lavoratori.

In Italia, sebbene l’articolo 46 della nostra Costituzione riconosca “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”, questo modello non ha mai attecchito in modo significativo.

Noi dell’Ugl, invece, fin dalla fondazione del nostro sindacato nel 1950, allora col nome di Cisnal, ne abbiamo da sempre sostenuto la positività come strumento sia di sviluppo economico che di promozione e giustizia sociale.

Ancora di più nel periodo contemporaneo, con la globalizzazione, la fondatezza dell’idea partecipativa si è dimostrata valida. Si tratta, infatti, di una concezione che rivendica il legame fra impresa, lavoro e territorio e che quindi costituisce un vero e proprio antidoto rispetto alle crisi aziendali, alle delocalizzazioni, al dumping sociale, che tanto hanno penalizzato i lavoratori del mondo occidentale, poiché realizza una corresponsabilizzazione reciproca fra imprenditori e dipendenti.

Non solo: anche le trasformazioni dei processi produttivi avvenute negli ultimi anni, grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, hanno contribuito al superamento della tradizionale dicotomia tra lavoratore autonomo e dipendente, creando nuove figure professionali miste.

Oggi, poi, gli effetti economico-sociali della pandemia di Covid-19, che si sono aggiunti ai problemi ed alle novità già presenti legate alla globalizzazione, hanno reso ancora più necessario diffondere il modello partecipativo.

In diverse occasioni, anche in passato, di fronte a crisi aziendali si è verificato un fenomeno, denominato «workers buyout», ovvero il caso in cui i dipendenti di un’impresa in crisi hanno salvato il proprio lavoro acquistando, grazie alle proprie liquidazioni ed ai propri risparmi, quote dell’azienda stessa, trasformandola in una cooperativa e salvandola dalla chiusura.

Una soluzione che ha permesso di mantenere centinaia di aziende e migliaia di posti di lavoro nel mondo, salvaguardando la continuità della produzione e dell’occupazione e spesso migliorando anche il livello di produttività delle aziende coinvolte. L’espressione ha, come spesso accade, un’origine anglosassone, dovuta al fatto che questo tipo di iniziative sono state realizzate negli Stati Uniti in periodi di difficoltà. Soluzioni analoghe si sono verificate, comunque, anche in Europa ed America Latina.

Di fatto non si tratta di altro che di una forma, realizzata in extremis e in caso di crisi già conclamata, di partecipazione, ossia quel coinvolgimento dei lavoratori che, declinato nelle sue varie forme che vanno dall’informazione sulle strategie aziendali alla cogestione fino, come in questo caso, alla comproprietà dell’azienda, rappresenta un rimedio efficace dal punto di vista economico e sociale alle difficoltà delle imprese.

Non c’è bisogno, tuttavia, di aspettare che le crisi arrivino per utilizzare gli strumenti partecipativi.

Il contesto produttivo, economico e sociale attuale renderebbe urgente promuovere in ogni caso la partecipazione dei lavoratori alle scelte produttive, in tutta Europa, nelle grandi come nelle piccole e medie imprese, per dare vita a un sistema di capace di tener insieme tutti gli attori della filiera dando nuova forza, anche riformulando le relazioni industriali, al Modello Sociale Europeo.

Un modello ultimamente un po’ appannato e che invece rappresenta la vera forza del Vecchio Continente, poiché prevede una forma di capitalismo sociale, alternativo a quello ultra-liberista, capace di garantire un benessere più diffuso e quindi maggiormente in grado di resistere, a lungo termine, agli scossoni politici, economici ed anche, come abbiamo visto di recente, sanitari, creando una società economicamente più forte e socialmente più coesa e inclusiva.

Occorrerebbe, quindi, incentivare la partecipazione non solo mediante una maggiore informazione e conoscenza del tema, ma anche con efficaci misure di fiscalità agevolata, poiché si tratta di uno strumento utile, da sostenere, nell’obiettivo di una piena ripresa economica e sociale.

Se le imprese per vincere le sfide, della globalizzazione prima e della crisi Covid adesso, richiedono ai dipendenti un impegno ed un coinvolgimento maggiore e diverso che in passato, motivazioni aggiuntive e senso di appartenenza ai destini aziendali, se devono contare sempre più sulla professionalità del personale, è conseguenza logica che debbano anche condividere con i lavoratori non solo le informazioni, ma anche le scelte e le decisioni strategiche e, da ultimo, anche i risultati economici della gestione. Un cambiamento che, come si evince dall’interessante saggio sul tema di Augusto Cocchioni, è, quindi, nell’ordine delle cose, tanto giusto quanto necessario.

 

  1. Riepilogo operativo

Il nostro sistema economico nei passati decenni ha trasformato l’impresa in uno strumento di accumulazione di breve periodo che estraendo rendita dai fattori produttivi ne ha causato il complessivo indebolimento ed ha posto le condizioni per il declino.

L’aspetto più preoccupante è il costante aumento della disuguaglianza che si è avuto negli ultimi decenni. La pandemia ha ulteriormente accelerato e aggravato questi trend.  Un sistema così squilibrato rappresenta un problema per tutti.

Per superare questa situazione è necessario individuare modelli nuovi che riescano a conciliare una maggiore produttività con un contestuale maggior rispetto delle uguaglianze e delle opportunità di lavoro.

La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e la divulgazione della cultura partecipativa sono una delle principali risposte alla crisi del sistema economico per riuscire a trasformare le sue contraddizioni in opportunità.

Perché per affrontare in modo adeguato i continui cambiamenti e le sfide del prossimo futuro sarà necessario generare organizzazioni e aziende capaci di integrare competitività, salvaguardia e tutela del lavoro, sostenibilità nel lungo periodo e legame con la comunità e il territorio.

Occorre costruire un sistema culturale che sviluppi e alimenti un continuo dialogo tra imprese, lavoratori e territorio. È necessario quindi far rientrare la cultura partecipativa nei percorsi formativi rivolti alle aziende e ai lavoratori; servono competenze organizzative e gestionali per un nuovo modo di fare impresa improntato alla partecipazione.

Va creata una generazione di imprenditori e di lavoratori, anche di piccole imprese, che conosca, abbia a cuore e faccia propri questi valori in modo che, partendo dall’azienda e dal lavoro, li riesca a trasmettere all’intera società.

 

Introduzione

Questo breve saggio nasce dall’esigenza di redigere una guida di facile e immediata lettura su un argomento di grande attualità come la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Vuole essere un contributo alla diffusione della conoscenza di un tema di grande rilevanza ancora poco noto ai non addetti ai lavori.

 

Analizza in modo molto sintetico alcune delle principali distorsioni del nostro sistema economico e perché la partecipazione sia oggi una delle vie maestre per riuscire a bilanciarne gli effetti negativi. Riporta le principali definizioni di partecipazione, ne descrive origini ed evoluzione, espone la normativa di riferimento nell’ordinamento europeo e italiano, analizza come può essere attuata nelle piccole imprese e i vantaggi che si raggiungono facendolo.

 

  1. La cultura partecipativa per mitigare gli effetti negativi del sistema

Il nostro sistema economico negli ultimi decenni è stato dominato da una cultura d’impresa che ha avuto come unico obiettivo la generazione di profitti per gli azionisti; escludendo di fatto qualsiasi altro ruolo e responsabilità di tipo sociale. Nello stesso periodo si è inoltre andata sempre più affermando una cultura gestionale tesa alla creazione di valore attraverso l’aumento del prezzo di scambio finanziario dell’impresa piuttosto che attraverso la produzione e vendita di beni e servizi. Per raggiungere queste finalità le aziende sono state ristrutturate dando priorità agli investimenti finanziari rispetto a quelli tecnici, sostituendo i costi fissi con quelli variabili (attraverso esternalizzazioni, riduzioni di personale, delocalizzazioni, ecc.) e attuando strategie molto orientate al breve termine.

Questo ha trasformato l’impresa in uno strumento di accumulazione di breve periodo che, estraendo rendita dai fattori produttivi, ha generato un complessivo indebolimento del sistema e posto le condizioni per il declino. Gli esiti sono stati infatti la continua compressione delle retribuzioni, una netta riduzione della domanda di lavoro e aziende che, andando altrove, si sono svincolate dalle funzioni sociali legate al territorio.

Tutto ciò, in un circolo sempre più vizioso, ha generato una crescita sempre più bassa, aumento della precarietà del lavoro e, a partire dalla crisi del 2008, profitti stagnanti. L’aspetto più preoccupante è il costante aumento della disuguaglianza che si è avuto negli ultimi decenni. La crescita è andata a solo vantaggio di quelli che già hanno di più, i ricchi diventano sempre più ricchi in un meccanismo perverso di redistribuzione dal basso verso l’alto.

Qualcosa ovviamente non va in questo sistema che di fatto estrae continuamente valore sociale alla comunità. Un processo di depauperamento di patrimonio collettivo non molto dissimile a quello che sta avvenendo con il territorio e con l’ambiente. Il libero mercato è stato una forza sociale positiva che ha portato notevoli progressi in tutto il mondo, ma il sistema non sta funzionando più. La crisi economica del 2008 sembra essere stata il punto di rottura.

La pandemia ha ulteriormente accelerato e aggravato questi trend. Conseguenza della sempre più elevata digitalizzazione sarà un sempre maggiore accumulo di profitti e redistribuzione a favore di chi detiene la proprietà delle tecnologie. Se il recupero di quanto perso con la pandemia avverrà solo con la ricerca di maggior efficienza e produttività le distorsioni non saranno controbilanciate.

Un sistema ormai da decenni così squilibrato rappresenta un problema per tutti. La crescente disuguaglianza economica oltre ad essere causa di ingiustizia, genera aumento della criminalità, instabilità politica, insicurezza e minore fiducia. Per superare questa situazione è necessario individuare modelli nuovi che riescano a conciliare una maggiore produttività con un contestuale maggior rispetto delle uguaglianze e delle opportunità di lavoro.

Da più autorevoli parti si inizia a considerare la partecipazione alla gestione e agli utili delle imprese come una delle vie maestre per riuscire a contenere e mitigare gli effetti negativi del sistema che si è venuto a creare. Perché introdurrebbe i contrappesi necessari per condizionare le scelte di chi detiene il capitale e le leve decisionali del meccanismo di accumulazione sin dalla loro origine. Inoltre, le aziende gestite dai dipendenti generano una maggiore crescita occupazionale, offrono ai propri lavoratori retribuzioni più elevate e tutelano il legame con il territorio.

Attraverso una governance partecipativa le imprese possono e devono dare il proprio importante contributo alla costruzione di un’economia più socialmente sostenibile. Più in generale la cultura partecipativa consentirebbe di superare la logica dell’accumulo a favore di una logica del coinvolgimento, perché affrontare squilibri nell’impresa vuol dire affrontarli nella società, nella consapevolezza che la struttura sociale è una risorsa di tutti.

 

  1. Le principali definizioni di partecipazione

Con il termine “partecipazione dei lavoratori alla gestione” si intendono tutte le forme mediante le quali i lavoratori e i loro rappresentanti influenzano le decisioni dell’impresa, in alcuni casi condividendo il risultato economico. Le forme partecipative sono molteplici e con diverse caratteristiche, dalle più semplici e basilari rappresentate dallo scambio di informazioni e dalle consultazioni, fino alle forme più istituzionalizzate come la presenza diretta di membri dei lavoratori nei consigli di gestione o nei consigli di supervisione.  Vi sono molti modi per definire le varie modalità attraverso le quali la partecipazione viene concretamente attuata. Riportiamo qui di seguito una sintesi delle principali forme utilizzate per distinguerne le diverse tipologie.

Partecipazione formale e informale

Una prima distinzione utile è tra:

  • la partecipazione informale, che è quella che avviene tra imprenditori e operai nelle piccole imprese o fra capi intermedi e lavoratori nei reparti e negli uffici delle imprese più grandi,
  • e la partecipazione formale o istituzionale, che è quella che si realizza attraverso la presenza negli organismi di governance dell’impresa.

La partecipazione istituzionale è riconducibile a quattro tipologie.

  • La presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi di governo dell’impresa, nei cosiddetti “consigli di sorveglianza” che hanno funzione di indirizzo di controllo sui temi strategici e importanti poteri di veto. Questo tipo di partecipazione viene anche chiamata “cogestione” e/o “codeterminazione” o anche “partecipazione strategica”.
  • La presenza di comitati misti composti dalle rappresentanze sia dei lavoratori che dell’impresa, chiamati “comitati paritetici”. Questi organi hanno funzioni di informazione e di consultazione.
  • La presenza dei rappresentanti dei lavoratori nella gestione dei “fondi per il sistema pensionistico integrativo” (il cosiddetto “secondo pilastro”) e della “sanità integrativa”.
  • Gli “enti bilaterali”, che si occupano di diversi aspetti delle politiche sociali, come: borse di studio, sostegno al reddito in caso di disoccupazione e altro; questi costituiscono una parte importante del cosiddetto “secondo welfare”.

Partecipazione diretta e indiretta

Un’altra suddivisione che è importante evidenziare è tra la partecipazione diretta (o organizzativa) e la partecipazione indiretta (o rappresentativa).

La partecipazione diretta consiste in vari tipi di iniziative con cui il management consulta direttamente o delega ai lavoratori le modalità dell’organizzazione del lavoro. Si fonda su criteri professionali e sulle competenze tecniche delle persone. Viene attuata attraverso il coinvolgimento dei lavoratori ed è finalizzata al miglioramento dei processi lavorativi.

La partecipazione indiretta (o gestionale) si attua invece attraverso il coinvolgimento delle rappresentanze elette dai lavoratori nel processo decisionale dell’impresa, le quali partecipano assieme alla controparte ad organi di governo deputati a stabilire le condizioni di lavoro o i rapporti fra tali condizioni e le decisioni dell’impresa. E’ a questa che ci si riferisce quando si parla di “democrazia industriale”, quella che si svolge dentro l’impresa, che si distingue dalla “democrazia economica” che è quella che si svolge al di fuori dell’azienda.

La partecipazione indiretta viene definita:

  • ad “alta intensità” o “forte” quando avviene attraverso la “cogestione”, la “codeterminazione”, la “codecisione” e i “comitati di sorveglianza” (chiamata anche “partecipazione organica”);
  • a “media intensità” quando si limita ai “diritti di informazione e ai diritti di consultazione”;
  • oppure “debole” quando sono presenti forme sostanzialmente poco incisive di partecipazione.

Partecipazione economica e finanziaria

Un’ulteriore importante classificazione è quella che definisce la partecipazione economica e quella di tipo finanziario.

Nella partecipazione economica rientrano le diverse forme di premi concessi ai lavoratori in relazione agli obiettivi e ai risultati dell’impresa, come:

  • il premio di risultato o premio di partecipazione,
  • il profit-sharing, le stock option,
  • e altri tipi di premi specifici.

La versione più diffusa è il “premio di risultato” o “premio di produttività” (chiamato anche “salario variabile” o “retribuzione flessibile”), calcolato in relazione a indicatori di produttività e di qualità.

Un’altra versione della partecipazione economica è rappresentata dalla “partecipazione finanziaria” che viene attuata:

  • attraverso la concessione di azioni dell’impresa nella quale si lavora;
  • con il workers buyout, attraverso il quale, in caso di crisi di impresa, i lavoratori si fanno carico della continuità dell’azienda;
  • attraverso i fondi pensionistici integrativi della pensione pubblica.

Partecipazione strategica, organizzativa e operativa

Un’altra suddivisione utile è quella che distingue tra tre livelli e/o obiettivi di partecipazione. In questa tipologia si distinguono tre forme:

  • La partecipazione strategica

Riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nelle grandi scelte sul futuro dell’impresa e in particolare le scelte di investimento in fabbriche o impianti, e quelle sui modelli produttivi e gestionali. Storicamente essa si è sviluppata sulla base di una apposita legislazione (come la Mitbestimmung tedesca) oppure in base ai diritti di proprietà (come avviene per l’azionariato diffuso negli USA e per la cooperazione in Italia), o in presenza di un Fondo Pensione dei lavoratori che possiede pacchetti azionari (come è accaduto con il fondo VEBA, legato al sindacato UAW in Chrysler, nel 2009).

  • La partecipazione organizzativa

Riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione ordinaria dell’impresa e nelle scelte del management sui flussi produttivi. Può essere sviluppata in vari modi, ad esempio attraverso Commissioni Congiunte Management-Rappresentati sindacali, con vari gradi di potere, oppure attraverso procedure di consultazione dei lavoratori (o dei loro rappresentanti locali di base) su specifici argomenti. Nel caso italiano la partecipazione organizzativa è stata attuata prevalentemente negli anni ‘90 nelle grandi imprese industriali con Commissioni congiunte su temi come Ambiente, Sicurezza, Organizzazione del Lavoro. La valutazione sulle esperienze italiane è di solito modesta.

  • La partecipazione operativa

Riguarda il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione quotidiana del lavoro e in primo luogo quindi nella organizzazione del lavoro di fabbrica. Questo tipo di partecipazione è stata studiata a fondo dalla Fondazione Europea di Dublino sin dalla seconda metà degli anni ’90 attraverso le inchieste EPOC ed EWON sulle nuove forme di organizzazione del lavoro in Europa e in particolare sulla “delega per obiettivi” e sul “lavoro in team”.

Partecipazione esterna (o extra aziendale) e interna (o organica)

Un’ultima definizione che merita di essere evidenziata è quella che distingue tra:

  • la “partecipazione esterna” o “extra aziendale”, quella realizzata al di fuori dell’azienda attraverso la presenza di rappresentanti delle parti sociali in istituzioni pubbliche;
  • e la “partecipazione interna” aziendale o “organica”, quella che prevede la presenza di esponenti delle parti in organismi collegiali di governance dell’impresa.
  1. Le origini e l’evoluzione del sistema partecipativo

L’idea di partecipazione e programmi di democrazia economica e industriale iniziano a prendere forma in Europa nel primo dopoguerra. La prima rappresentanza nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese (cogestione), fu attuata per la prima volta in Germania durante la repubblica di Weimar. Nel 1918 furono istituite nelle imprese municipali britanniche rappresentanze dei lavoratori in comitati misti con i datori di lavoro, in Austria nel 1919, in Germania e in Cecoslovacchia nel 1920, e ancor prima in Russia nel 1917 si riconoscevano alcune forme di partecipazione. Con il secondo dopoguerra la partecipazione viene riconosciuta in alcune Costituzioni come diritto fondamentale che si andava ad aggiungere a quelli di organizzazione e contrattazione collettiva.

All’inizio degli anni Cinquanta nel sistema tedesco la cogestione viene definitivamente istituzionalizzata con diverse leggi federali che riguardano due ambiti:

  • la partecipazione dei lavoratori negli organi societari,
  • i diritti di informazione e consultazione dei lavoratori come elemento essenziale e presupposto della codeterminazione aziendale.

Nel 1951 viene prevista la composizione paritaria di rappresentanti dei lavoratori e rappresentanti degli azionisti nel Consiglio di Sorveglianza delle imprese carbosiderurgiche con almeno mille dipendenti. I rappresentanti dei lavoratori sono eletti dall’assemblea degli azionisti su designazione delle organizzazioni sindacali.  In seguito viene emanata la legge del 1968 che consentiva di ampliare la cogestione anche altre imprese, per arrivare nel 1976 all’introduzione di un modello di gestione quasi paritaria, nel quale i lavoratori e gli azionisti eleggono lo stesso numero di rappresentanti, e il presidente è eletto dagli azionisti.

Un’altra esperienza di partecipazione è stata quella intrapresa in Jugoslavia nei primi anni Cinquanta, uno dei programmi più completi di autogestione dei lavoratori che prevedeva l’uso diffuso e obbligatorio dei Consigli degli Operai.

In Ungheria gli autocostituiti Consigli Operai (Munkástanácsok) ebbero un ruolo determinante nella rivolta del ’56 e anche successivamente riuscirono a preservare quanto ottenuto rimanendo l’unico contrappeso politico al regime.

In Italia le prime istanze di partecipazione operaia alla gestione dell’impresa risalgono agli anni successivi alla prima guerra mondiale, come avvenne nella FIAT nell’agosto del 1919. In seguito nel 1921 il governo Giolitti tentò di regolamentare queste nuove istanze con un disegno di legge che prevedeva commissioni di controllo composte da lavoratori, assegnatarie di specifiche competenze di informazione e consultazione.

 

Il primo vero riconoscimento dei Consigli di Gestione si ebbe nel Decreto sulla Socializzazione della Repubblica Sociale Italiana del 2.2.1944 n. 375 con il quale si affidavano ai lavoratori diversi compiti tra cui quelli di:

  • coadiuvare l’imprenditore nella gestione aziendale,
  • partecipare alle assemblee dei soci con un numero di voti pari ai detentori del capitale,
  • partecipare al consiglio di amministrazione in un numero pari ai rappresentanti del capitale.

Il provvedimento fu poi abrogato dal Comitato di Liberazione Nazionale, che però scelse di non cancellare proprio le norme aventi ad oggetto i compiti e le funzioni dei Consigli di Gestione.

Nel 1948 nella Costituzione della Repubblica Italiana viene introdotto l’articolo 46. che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende, a pronunciarsi in materia. A tutt’oggi però questo articolo non ha ancora trovato una concreta applicazione.

A partire dal secondo dopoguerra si hanno in Italia diverse esperienze di partecipazione, come:

  • i consigli operai del primo dopoguerra nell’area Torinese di collocazione nella logica antagonistica e conflittuale, che rifiuta quindi la collaborazione in azienda privilegiando il confronto fra imprenditori e lavoratori;
  • le cooperative nate spesso anch’esse con intenti antagonisti e poi hanno sviluppato un percorso verso logiche partecipative;
  • la breve esperienza dei Consigli di Gestione a cui ha guardato con interesse il legislatore Costituente nel redigere l’articolo 46 della nostra Costituzione;
  • le pionieristiche iniziative olivettiane dell’impresa comunità che guardavano con attenzione contemporaneamente all’organizzazione del lavoro, al welfare aziendale e allo sviluppo urbanistico delle città.

L’interruzione dell’esperienza dei Consigli di Gestione del dopoguerra e la mancata evoluzione verso sviluppi in senso partecipativo nei decenni successivi sono dovuti principalmente alla ostilità della gran parte dei sindacati verso un sistema di relazioni industriali contrario all’idea di antagonismo tra classe operaia e capitale. In tutti questi decenni ha prevalso la visione antagonistica dei rapporti tra capitale e lavoro che ha fortemente contrastato l’accettazione dell’esistenza di un qualche interesse condiviso tra lavoratori e imprenditore. Alla quale è corrisposta una speculare diffidenza degli imprenditori verso un sindacato quasi del tutto egemonizzato da una cultura avversa all’impresa e al sistema capitalistico.

A partire dagli anni ottanta iniziano ad affermarsi le teorie neoliberiste, accompagnate da un uso sempre maggiore della tecnologia, sistemi premianti basati su obiettivi individuali e il graduale spostamento della proprietà dell’impresa dagli imprenditori al mondo finanziario. Tutto ciò fa perdere di interesse al dibattito sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.

Fino ad arrivare ai giorni nostri, nei quali i dati economici e occupazionali ci indicano chiaramente che è il momento propizio per tornare a parlare di partecipazione. È il tempo di una ripartenza nel segno di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla collaborazione tra lavoratori e impresa, che porta con sé anche maggiore attenzione alla comunità e al territorio. Superando la lotta di classe tra capitale e lavoro ormai del tutto anacronistica rispetto ai tempi che stiamo vivendo.

  1. La partecipazione nell’ordinamento europeo

L’Unione europea ha sviluppato da decenni un’intensa attività normativa, relativamente a diverse forme e gradi di partecipazione, dal diritto di informazione alla consultazione fino ai diritti di partecipazione nella governance delle imprese e alla partecipazione finanziaria realizzata con l’azionariato dei dipendenti.

La materia è stata disciplinata a più riprese dalla normativa comunitaria osservando con attenzione il modello della cogestione nato in Germania, l’istituto della Mitbestimmung.

Con diverse direttive e regolamenti è stato regolamentato prevalentemente il diritto di informazione e consultazione, con lo scopo di uniformare a livello comunitario le diverse discipline nazionali senza però attuare una forma di partecipazione “forte”, cioè quella organica, che era presente in Germania.

L’attività della Comunità in questa materia si è sviluppata sin dal 1970 secondo due prospettive:

  1. una riguarda il diritto delle relazioni industriali,
  2. l’altra attiene anche e soprattutto al diritto societario.

1) Nella prima rientrano la proposta di direttiva del 1980, nota con il nome di Vredeling, concernente l’informazione e la consultazione dei lavoratori nell’ambito di imprese e di gruppi multinazionali, e la dir. 94/45/CE sui Comitati aziendali europei, relativa all’informazione e consultazione dei dipendenti delle imprese e dei gruppi di imprese e di dimensioni comunitarie.

La partecipazione appare uno degli elementi fondamentali della politica sociale europea, che trova il suo fondamento:

  • nella Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea,
  • nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali,
  • e nella Carta sociale europea.

Nella Carta comunitaria con un generico riferimento alla partecipazione e alla necessaria informazione e consultazione dei lavoratori all’articolo 17.

Nella Carta sociale invece con “le droit à la information e à la consultation” (art. 21) e con il diritto “a prendre part”.

La materia è stata poi disciplinata con diverse direttive fin dal 1970, tra queste la direttiva madre, la 1994/45/CE che ha istituito i comitati aziendali (CAE) con funzione di rappresentanza dei lavoratori.

Nel panorama comunitario quindi non mancano le direttive a tutela del “diritto di informazione e comunicazione”. Molto diverso però è il numero di direttive che regolano la “partecipazione organica”.

2) Per quanto attiene alla seconda, inerente il diritto societario, le normative relative allo statuto dell’impresa europea ed alla struttura delle società per azioni nei Paesi membri sono volte ad introdurre forme di partecipazione collettiva dei dipendenti all’interno dell’impresa societaria. Lo statuto della Società europea non propone un modello unico ma una pluralità di procedure per costituirla con diverse modalità di partecipazione dei lavoratori nella società. La materia è stata disciplinata allontanandosi da soluzione statiche in quanto ogni Stato membro ha un sistema di relazioni industriali diverse. Le stesse imprese hanno dimensioni e necessità differenti a seconda della realtà nazionale nella quale sono inserite. La Società europea non è ancora molto diffusa, anche se il suo utilizzo è in aumento soprattutto nei paesi del centro-nord Europa dove le forme di partecipazione organica hanno radici più profonde.

Per quanto riguarda invece la “partecipazione finanziaria”, l’Unione Europea si è limitata a una raccomandazione che promuove la partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell’impresa, compresa la partecipazione al capitale tramite l’azionariato.

  1. L’attuale situazione in Italia

La Partecipazione è un valore fondativo della Costituzione della Repubblica Italiana esplicitamente previsto che all’art. 46 riconosce il diritto dei lavoratori a partecipare nell’impresa come un elemento caratterizzante del modello economico e sociale.

La norma della nostra Costituzione di fatto rimasta inattuata a causa soprattutto delle resistenze soprattutto da parte di una gran parte dei sindacati che hanno privilegiato una impostazione conflittuale rispetto ad un modello collaborativo più favorevole allo sviluppo di modelli partecipativi più forti e avanzati come invece è avvenuto in molti altri paesi in Europa.

Da qualche anno però l’argomento ha visto emergere un nuovo interesse sia tra gli esperti che nel mondo delle relazioni industriali e anche in ambito parlamentare. Più di recente c’è una crescente attenzione alla necessità di affrontare la sfida della partecipazione anche da parte dei sindacati che ne sono stati storicamente avversi. La maggior domanda di partecipazione corrisponde anche alle necessità di valorizzare il lavoro e i lavoratori attraverso una sempre maggiore trasparenza e per andare incontro alle esigenze di responsabilità sociale da parte dell’impresa.

In Italia le forme partecipative esterne, realizzate al di fuori dell’azienda attraverso la presenza di rappresentanti delle parti sociali in istituzioni pubbliche, hanno trovato ampia diffusione, mentre le forme interne e organiche che prevedono la presenza di esponenti delle parti in organismi collegiali di governance dell’impresa, sono poco presenti. Questa diversità di evoluzione della partecipazione tra il livello aziendale e quello extra aziendale è un’anomalia italiana rispetto ad altri paesi europei nei quali i due livelli sono sviluppati in modo parallelo.

Negli anni più recenti si sta avendo un atteggiamento maggiormente favorevole verso il superamento di questa situazione, anche grazie al recepimento delle direttive europee in materia: dal 2002 al 2012 attraverso diversi decreti legislativi e il riconoscimento della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e del diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’impresa.

Si sono avute esperienze di questo tipo a seguito della presenza di industrie tedesche in Italia. Un esempio virtuoso dal gruppo Volkswagen che ha diffuso, anche in Italia, la cosiddetta Charta dei diritti del lavoro e dei lavoratori. In queste aziende non si è arrivati ad una partecipazione in senso stretto perché non è prevista la partecipazione istituzionale dei lavoratori negli organi dell’azienda.

La partecipazione nella situazione italiana può essere ricompresa nei seguenti ambiti.

  1. La cosiddetta partecipazione organizzativo-istituzionale che prevede la presenza di esponenti delle parti in organismi collegiali di governance dell’impresa. Ma il quadro giuridico e il diritto commerciale in Italia non prevedono il modello di cogestione o codeterminazione come in Germania e altri paesi nordici, pertanto sono poco presenti queste forme forti di partecipazione.
  2. La partecipazione finanziaria nella quale si prevede l’azionariato collettivo dei dipendenti in diverse forme e con diversi gradi di coinvolgimento negli organi dell’impresa, che ha un buon livello di sviluppo e diffusione in Italia e in tutta Europa.
  3. La partecipazione di tipo informativo/consultivo che riguarda i rapporti di informazione consultazione fra imprenditori e rappresentanze dei lavoratori e che avviene attraverso appositi incontri e o attraverso osservatori o altri organismi aziendali.
  4. La partecipazione diretta, spesso anche chiamata operativa o integrativa, che prevede il coinvolgimento diretto dei Lavoratori nel funzionamento quotidiano dell’impresa attraverso la costituzione e sperimentazione di meccanismi di integrazione, come i circoli di qualità, i gruppi di miglioramento, ed altri.
  5. Infine la partecipazione economica, come il profit sharing o quando una quota parte della retribuzione dei Lavoratori viene collegata ai risultati dell’impresa, generalmente in termini di redditività, produttività e qualità. Attraverso questa forma partecipativa si mettono a disposizione i risultati conseguiti dall’impresa per i lavoratori senza che essi entrino nel merito delle scelte che determina risultati.

 

  1. La partecipazione nelle piccole imprese

 

Spesso si ritiene che il modello partecipativo a causa della sua complessità sia adatto solo ad aziende di grandi dimensioni. Invece può essere realizzato con procedure semplificate anche nelle medie imprese e, attraverso le abitudini, le prassi e i valori che muovono e guidano l’attività svolta, anche nelle aziende più piccole.

Questo tipo di aziende nella maggioranza dei casi sono a proprietà familiare ed hanno forti radici nel territorio. Questo implica un legame più personale e diretto con il contesto sociale in cui operano e di cui fanno parte integrante, che può rappresentare un grande vantaggio per una evoluzione di tipo partecipativo. Hanno il più delle volte gli organi direttivi composti da membri della famiglia che, se da un lato può essere una grande forza, può anche rappresentare un forte limite. Perché l’attività e le scelte strategiche risentono molto delle vicende legate ai rapporti tra i familiari. In questi casi la partecipazione può servire da elemento stabilizzante garantendo maggiore equilibrio nelle scelte.

Le esperienze di programmi di acquisto della proprietà da parte dei dipendenti di piccole aziende o di aziende familiari mostrano che ne risulta un modello di impresa altamente competitivo che tutela al meglio i lavoratori perché le strategie di sviluppo tengono sempre conto dei loro interessi. A differenza dei casi in cui le partecipazioni vengono acquistate da fondi di investimento che per loro natura cercano di massimizzare i profitti e il valore aziendale prestando meno attenzione agli interessi della comunità e al territorio.

Altro aspetto importante da evidenziare è che nelle grandi imprese la partecipazione in azienda prende avvio da normative e procedure ben strutturate; diventa quindi più agevole delineare, negoziare e contrattare principi, politiche, modelli, meccanismi e strumenti volti alla partecipazione. Nelle PMI invece è necessario sviluppare un approccio di tipo partecipativo. Serve quindi trasmettere agli imprenditori e agli stessi lavoratori come creare nuovi modelli di gestione aziendale, con organizzazioni orizzontali, con poco utilizzo di autorità gerarchica, con collaboratori ai quali vengano riconosciuti protagonismo, motivazione e appartenenza, in modo che si sentano titolari e imprenditori del proprio lavoro.

Anche se in molti casi nelle piccole aziende vengono adottate buone pratiche partecipative senza qualificarle come tali, è importante sviluppare la consapevolezza di questa modalità di fare impresa per trarne al meglio tutti i benefici che ne derivano.

La formazione a tal fine può giocare un ruolo fondamentale:

  • Insegnando ad andare oltre il sistema tradizionale di gestione “capo-collaboratore”, ancora considerata l’unica forma organizzativa e gestionale.
  • Spiegando i grandi vantaggi che si possono ottenere, come l’aumento della produttività, la migliore capacità decisionale e organizzativa, la riduzione dei costi grazie all’eliminazione degli sprechi.
  • Facendo comprendere che il processo di partecipazione e di coinvolgimento è un potente strumento per difendere l’impresa dalla concorrenza schiacciante derivante dalla globalizzazione per la quale le PMI hanno bisogno del contributo e del supporto di tutta la comunità. Perché il modello partecipativo esalta e valorizza le peculiarità positive della territorialità, il senso di comunità, il rafforzamento delle filiere che consolidano e potenziano il Made in Italy, dove è proprio il lavoro che fa la differenza. Perché senza il corretto coinvolgimento di chi lavora nell’impresa e a favore dell’impresa non si può raggiungere quell’equilibrio che consente di realizzare un’azienda realmente eccellente.
  • Da ultimo, ma non per importanza, spiegando che l’impresa quando opera nell’interesse di tutti è più solida ed è più capace di durare nel tempo e di superare le vicende personali di coloro che l’hanno fondata.
  1. La cultura partecipativa come risorsa da divulgare

La cultura della partecipazione e la sua divulgazione a tutti i livelli sono una delle principali risposte alla crisi del sistema economico in grado di riuscire a trasformare le sue contraddizioni in opportunità. Sarà necessario generare organizzazioni più adatte ad affrontare i continui cambiamenti che si avranno nel prossimo futuro. Nel quale non varrà più come in passato la sola ricerca dell’aumento dei fatturati e dei profitti, ma si competerà sempre di più attraverso il valore sociale e la fiducia che le transazioni incorporano. Basti pensare alle diverse certificazioni già oggi esistenti sulla responsabilità sociale d’impresa che saranno sempre più diffuse e tenute in considerazione. Così come l’attenzione che le nuove generazioni di lavoratori avranno verso l’azienda in base al grado di fiducia e di impegno sociale messo concretamente in atto.

L’impresa dovrà quindi tenere da conto di tutte le componenti dell’ecosistema del quale fa parte perché dovrà affrontare situazioni sempre più complesse che, senza la leale e sincera vicinanza di tutti i collaboratori ed una profonda appartenenza al proprio contesto, non potranno essere superate. Generando in questo modo aziende responsabili che, collegando tutte le parti interne ed esterne, contribuiscono a creare valore integrando competitività, salvaguardia e tutela del lavoro, sostenibilità nel lungo periodo e legame con la comunità e il territorio.

È quindi importante sviluppare la cultura partecipativa all’interno delle imprese, coinvolgendo tutti attivamente affinché diventi un valore fondante di tutta l’organizzazione. Superando la struttura organizzativa verticistica, autoritaria e accentratrice che produce contrapposizione verso una logica della corresponsabilità, del consenso e della condivisione. Diffondendola a tutti livelli, anche in modo trasversale e nei contesti contigui, affinché non resti un qualcosa per soli addetti ai lavori.

Va creata una generazione di imprenditori e di lavoratori che conosca, abbia a cuore e faccia propri questi valori in modo che, partendo dall’azienda e dal lavoro, riescano a permeare e condizionare l’intera società. Solo così si può generare un concetto nuovo di fare impresa e di prestare il proprio lavoro, che guardi avanti e superi questa fase storica ormai giunta a maturazione e probabilmente al declino.

Cambiare un’organizzazione da una rigida gerarchia dall’alto verso il basso ad una che coinvolga i dipendenti a tutti i livelli per prendere decisioni non è una cosa facile da fare. Serve modificare la struttura dell’azienda ma, ancor più, serve un cambiamento culturale che richiede tempo, impegno e il contributo di figure professionali che accompagnino e facilitino questo processo.

  1. Conclusioni.

Per affrontare in modo adeguato i continui cambiamenti e le sfide del prossimo futuro sarà necessario generare organizzazioni e aziende capaci di integrare competitività, salvaguardia e tutela del lavoro, sostenibilità nel lungo periodo e legame con la comunità e il territorio. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è una delle vie maestre per riuscire a farlo. Occorre costruire un sistema culturale che sviluppi e alimenti un continuo dialogo tra imprese, lavoratori e territorio.

È necessario quindi far rientrare la cultura partecipativa nei percorsi formativi rivolti alle imprese e ai lavoratori. Le sole competenze tecniche non sono sufficienti, servono anche competenze organizzative e gestionali per un nuovo modo di fare impresa improntato alla partecipazione.

Nelle aziende più grandi sviluppando a tutti i livelli funzionali conoscenza e consapevolezza affinché gli interventi normativi vengano anticipati e agevolati già nell’ambito dell’impresa. Nelle piccole aziende invece trasmettendo e incentivando un approccio organizzativo di tipo partecipativo che riconosca ai collaboratori protagonismo, motivazione e appartenenza, affinché si sentano titolari e imprenditori del proprio lavoro.

Sarebbe quindi molto importante sviluppare nell’ambito dei piani di divulgazione, di istruzione e di formazione professionale, progetti e programmi che abbiano come obiettivo principale la diffusione della cultura partecipativa. Va creata una generazione di imprenditori e di lavoratori, anche di piccole imprese, che conosca, abbia a cuore e faccia propri questi valori in modo che, partendo dall’azienda e dal lavoro, li riesca a trasmettere all’intera società.

  1. Fonti bibliografiche
  • L’Idea Partecipativa dalla A alla Z

Mario Bozzi Sentieri

I Libri del Borghese, 2020

Francesco Paolo Capone

La Meta Sociale – Ottobre 8, 2020

https://www.lametasociale.it/2020/10/08/la-partecipazione-che-non-ce-e-invece-servirebbe/

  • La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Un progetto possibile

Marco Carcano (a cura di), Roberto Ferrari (a cura di), Vito Volpe (a cura di) – 2017 – Guerini Next

  • Le aspettative disattese della partecipazione dei lavoratori all’impresa

Andrea De Tommasi – 17 Giugno 2021

https://asvis.it/goal9/home/425-10035/focus-le-aspettative-disattese-della-partecipazione-dei-lavoratori-allimpresa

  • Partecipazione dei lavoratori nell’impresa: le ragioni di un ritardo

Pietro Ichino

https://www.pietroichino.it/?p=29580

  • La partecipazione dei lavoratori. Dal Mitbestimmung all’impresa sociale

07 Febbraio 2020 – di Francesca Manca

https://www.filodiritto.com/la-partecipazione-dei-lavoratori-dal-mitbestimmung-allimpresa-sociale

  • Come cambieranno le relazioni industriali con il Coronavirus

di Salvatore Santangelo

https://www.startmag.it/economia/le-relazioni-industriali-al-tempo-del-covid19/

  • Partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa

Tiziano Treu – Diritto online 2017

http://www.treccani.it/enciclopedia/partecipazione-dei-lavoratori-alla-gestione-delle-imprese_%28Diritto-on-line%29/

  • La partecipazione dei lavoratori all’impresa

Roma, novembre 2012

Fondazione Cercare Ancora

Eni Corporate University

  • Il modello tedesco. Come funziona davvero

6 aprile 2012 in Economia, Europa, Lavoro

https://keynesblog.com/2012/04/06/il-modello-tedesco-come-funziona-davvero/

  • The rise of Employee Ownership Trusts and what this could mean for your business

23 luglio 2021

http://www.mitbestimmung.it/the-rise-of-employee-ownership-trusts-and-what-this-could-mean-for-your-business/

  • Tipi e livelli della partecipazione

EQuIPE2020 – AnPAL Servizi SpA.

http://www.equipeonline.it/tipi-e-livelli-della-partecipazione

Postfazione

Augusto Cocchioni si è incuriosito ad un argomento per lui nuovo, lo ha approfondito ed ecco che ora ha anche trovato il modo di divulgarlo con semplicità e chiarezza.

Fui io a parlargli della partecipazione come uno degli elementi distintivi dell’UGL quando qualche anno fa, in occasione di uno dei miei viaggi in Ungheria per partecipare ad un convegno internazionale, lo conobbi a Budapest dove da oltre trent’anni vive e lavora come consulente aziendale al fianco delle piccole e medie imprese, esperto di strategia, management e internazionalizzazione.

Augusto si è talmente appassionato che sta promuovendo la cultura partecipativa al centro di nuovi modelli organizzativi e nuovi modi di fare impresa, indispensabili per affrontare le sfide del prossimo futuro.

Questo suo lavoro abbiamo voluto tradurlo in diverse lingue perché lo riteniamo uno strumento utilissimo nei nostri rapporti internazionali.

Gian Luigi Ferretti

UGL – Rapporti internazionali

 

Augusto Cocchioni

Nato nel 1961, laurea in Economia Management a Roma e Master per l’Internazionalizzazione delle imprese CORCE. Dopo iniziali esperienze in Inghilterra, Venezuela e Spagna si è trasferito nel 1991 in Ungheria, paese strategico per tutta l’area del Centro Est Europa, negli anni in cui questi mercati si aprivano alle aziende occidentali.

Ha sempre svolto l’attività di consulente al fianco di piccole e medie imprese integrando le tradizionali tecniche con metodologie e strumenti innovativi di gestione. Autore di libri e pubblicazioni, studia le dinamiche della creazione di valore nell’azienda considerando la cultura della partecipazione basilare nell’ambito delle nuove frontiere della responsabilità sociale e della sostenibilità d’impresa.

Membro della Consulta Estero dell’UGL e Responsabile delle Relazioni Internazionali per l’Ungheria. Membro del Collegio Sindacale di Confindustria Ungheria. Dal 1998 al 2010 Membro e Presidente del Collegio dei Revisori nonché Probiviro della Camera di Commercio Italiana per l’Ungheria (CCIU). Dal 2006 al 2010 Presidente del Comitato degli esperti dello Sportello Europa per i fondi europei presso la CCIU.

 

 

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